Silenzi D’Autore

Pietro Cabras

Critica alla produzione artistica

Pietro Cabras, pittore, scultore e bronzista cagliaritano

 

 

             Oggi l’arte trova frequente confronto con le sperimentazioni o con l’eclatante, col bisogno di dare scandalo perché l’artista possa emergere dall’oscurità dell’anonimato ove il sensazionalismo appare nella vicenda artistica il propulsore predominante e vincente.

 

             Probabilmente questo approdo dell’arte contemporanea è frutto dell’epoca delle avanguardie storiche e fra queste dirompente ed oggi oggetto di grande rievocazione seppe essere il futurismo di cui Filippo Tommaso Marinetti fu principale propugnatore. Il Futurismo celebrava  la lotta e la guerra, perché evidenziavano qualità dell’uomo nuovo come coraggio, audacia, volontà di ribellione e questo l’artista doveva produrre nell’arte, lo scopo probabilmente era di evitare l’omologazione il prodotto seriale. Il punto 7 del Manifesto Futurista dichiarava che “Non v’è più bellezza, se non nella lotta”. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. Nuovo valore del futurista diveniva la velocità: non più studio delle opere antiche ma innovazione, valorizzazione della rapidità. Fu quello in arte il seme fondante dei nuovi tempi che sfociarono nell’era dell’automobile simbolo per antonomasia di quel pensiero, poiché oggetto ferroso, pesante, rumoroso, carico di energia, bolide pericoloso ma inebriante e veloce.

             Negli ultimi decenni qualcosa di più potente e rivoluzionario è avvenuto: una deflagrazione globalizzante e ben più veloce dell’automobile. Siamo in piena era telematica siamo nel mondo globale di internet con tutte le sue insidie e le sue guerre occulte.  Ieri come oggi si cercava di creare scalpore di creare novità dirompenti, fagocitate da insistenti richiami giornalistici atti a condurre all’esaltazione della novità del momento il nuovo prodotto o giocattolo  di mercato da riversare sui collezionisti sempre pronti al nuovo, ed ecco rapido il declino dei precedenti modelli di pensiero artistico, la nuova icona brucerà le precedenti inducendo un bisogno irrefrenabile di possesso. Le società moderne dal primo decennio del novecento a oggi a parte  alcuni movimenti o minoranze contro corrente per lo più hanno identificato il progresso di una società con la velocità in sé dimenticando od ignorando i danni che ne sarebbero derivati.

             Ed oggi i nodi vengono al pettine: il troppo rumore porta con sé sempre delle conseguenze e queste sono ben riscontrabili nella società frustrata dalla necessità di apparire per poter esistere. Finito il novecento probabilmente la spinta propulsiva avanguardistica non trovando linfa vitale si arrabatta come può per dare ancora un senso all’espressione artistica. Oggi ci accorgiamo che occorre una pausa di riflessione, ce lo fa capire il disastro economico, probabile frutto di economie di guerra e di speculazione feroce, retaggio di un  liberismo imperante che ha potuto significare libertà assoluta di fare ma soprattutto di disfare e di distruggere, fino a mettere a rischio l’intera umanità. Ma finalmente oggi ci si accorge che una revisione è necessaria, non che non sia indispensabile la creatività anche eccentrica o che non si debba predicare la libertà, o che la velocità non serva, ma bisogna tornare a sostenere che occorre prima di tutto il tempo per riflettere e riflettendo si potrà capire facilmente che più della guerra c’è bisogno della pace, più che dell’azione occorre silenzio e meditazione, occorre infatti ridare spessore se non ricostruire o reinventare il senso stesso della vita e per fare ciò bisogna ricreare valori, non di scontro ma di fratellanza. L’umanità va ricondotta nell’alveo della saggezza,  fuori dal tunnel che rischia di essere senza ritorno fino ad oggi percorso senza scrupoli per amore di potere, bramosia di denaro, nella logica perversa ed insostenibile del super-io che pretende l’immortalità. Troppo a lungo si sono mercificate le stesse coscienze per brama di potere sino a speculare anche sulla morte tanto da secolarizzarla persino in nuovi ed inquietanti prodotti “artistici” o supposti tali.

             Tuttavia le cose cambiano, il cambiamento è incombente, probabilmente il segnale di svolta è la crisi dell’economia che porterà indubbiamente ad un ripensamento ed alla crisi di quei valori in cui questa economia malata si è identificata. Oggi c’è bisogno di ridare senso alle cose, ridare autenticità alle persone, di far tornare la poesia nella vita di tutti i giorni di uscire dai salotti degli intellettuali e scendere nell’arena della gente comune. E chi meglio di un’artista come Cabras può ridare vigore ai valori di autenticità di cui l’uomo necessita. La poesia deve ritornare ad irrorare di emozioni i nostri giorni, dopo inverni freddi d’indifferenza essa diviene la cura, ed aprirà ad una nuova primavera anche nell’arte forse un nuovo umanesimo. 

Ma l’arte del novecento ed odierna non è stata solo eccentricità, denaro, speculazione e mercato, sempre è esistita una  verità o valori inconfutabili, una morale da cui tanti artisti hanno saputo attingere. L’arte che viene dall’animo è sopravvissuta anche dopo le avanguardie e non si è mai nutrita di effetti speciali né li ha cercati, la trovata non serve a chi esprime se stesso in modo autentico e l’artista schietto, sincero è tale perché con umiltà si confronta sempre ed in primo luogo con se stesso. Ma è proprio vero che l’arte per valere deve essere prodotto di un’idea fulminante? L’arte dunque dovrebbe essere resa tale da  teorie o teoremi filosofici ricondotti sia pure con scrupolo a prodotto di  raffinatezza intellettuale?  Ma l’arte chi la crea, l’artista o il filosofo? Lo scopo dei proclami non è forse di ingenerare amori platonici che alimentino illusori ottiche, quindi amori di stagione, dicansi “mode”? Ma le mode non sono forse utili al business?

Ma allora lo scopo dell’arte è solo quello di produrre denaro. Se così è ben si comprende la crisi dell’arte in connessione con la crisi del modello di società che abbiamo tutti noi contribuito a costruire.

             Si potrebbe continuare a lungo per parlare delle odierne società metropolitane, ma ritengo doveroso e anche ammetto più gratificante soffermarmi su un’artista che non ha mai fatto proclami né mai ha pensato che l’arte serva a far soldi. Osservando ed ammirando le opere di Pietro Cabras si conferma quanto già detto, ovvero che esistono artisti che sanno esprimere valori morali e dettare la regola della poesia sopra ogni altra cosa, che rifiutano con riluttanza le logiche dominanti, rivendicando semplicemente di poter esprimere i propri valori. Pietro Cabras è dunque un artista di “valori”?  Io ritengo lo sia, infatti Cabras da una vita opera nel silenzio della sua Sardegna, fuori da clamori ma con voce salda, non artista di frontiera, anzi ben riconosciuto dai suoi concittadini ma anche oltre la sua città, Cabras è certamente isolano ma non isolato, rifugge i contesti modaioli, ma bene conosce il mondo dell’arte e le sue facciate più lussureggianti, eppure non cade in tentazione, appartiene alla categoria di artisti che definirei “emotivi” nel senso che ancora si emozionano nel vedere un tramonto o gli occhi di una donna, o il sorriso gioioso di un bambino, che ancora sanno fermare lo sguardo su campi arsi dal sole, sulle infiorescenze che segnano l’avvento di nuove stagioni, il ciclo della vita, la ricrescita dettata dai ritmi della natura, il fiorire della speranza dopo ogni tristezza, il sorgere delle certezze dopo ogni dubbio. Egli  mentre dipinge, professa umiltà e sente il bisogno di riflettere sul mondo delle cose, lungi da lui ogni impulsività, il tempo pare trascorrere lento nelle sue opere, l’uomo essere in sintonia con i ritmi della natura e del creato ed i materiali classici della pittura o della scultura saper rendere ancora un buon servizio nella resa del tutto egregia dell’opera.

             Non vi è tema nell’acclarare una produzione che si avvale ancor oggi  di modi figurativi, ovvero di una rappresentazione di derivazione oggettuale. Certamente quella di Pietro Cabras appare voce fuori coro, ma ben accompagnata da tantissimi altre di artisti ben più giovani ma non blasonati ma pur validi perché nel loro pronunciamento espressivo, come Cabras  bene rendono le emozioni ed anche ci parlano della vita, quella vera, lontana dai clamori e dai rotocalchi giornalistici e televisivi. Quanta espressione e sentimento, quanta forza emotiva si palesa ai nostri occhi nelle opere di questo artista. A Cabras non servono grossi acuti per esprimere le proprie verità e gli si possono perdonare alcune sproporzioni audaci ai limiti dell’arte Naïve, proprio perché il valore dell’opera non è da ricercarsi nella precisione ma nell’espressione ed in questo la sensibilità è assoluta, la poesia di Cabras

trascende i valori terreni per approdare a quello che potrei definire “lirismo metafisico”.

Le sue opere più che lasciar vedere fanno  percepire e nell’osservazione non fugace pare di intuire il soffio del vento umido e caldo che si stempera nel silenzio di paesaggi estivi arsi dal sole di Sardegna. L’artista trattiene nella memoria ogni sensazione che poi lascia trascendere a livello cosciente ed il tutto lascia esprimere con naturalezza sulla tela, conferendo alle figure ed ai luoghi senso di umiltà e di dolcezza. Le donne sono spesso vestite in modo tradizionale sono rese come istantanee di un quotidiano incedere nelle cose della vita, ovvero nelle loro attività del fare o semplicemente dell’essere e dell’esistere. Sono vite normali, quelle descritte da Cabras, nulla di eccezionale, gli abiti sono semplici quasi dimessi, a volte tradizionali, i silenzi meditativi e contemplativi descrivono come in un velo di passioni sopite la gente comune e tutto questo emoziona, più di ogni proclama, di ogni effetto speciale; Cabras descrive ed illustra la sua gente e la sua terra, un mondo certamente idealizzato, ma che merita di essere descritto sia pure in una sintesi visiva.

Cabras ignora i fragori delle automobili, la moltitudine degli accantieramenti con le gru incessantemente al lavoro, la sua Sardegna spesso inondata di speculazioni di vario tipo ed il frastuono della modernità, rifugge la velocità e compie un’operazione tutt’altro che futurista, poiché egli sente che l’energia più autentica e vitale è quella dell’animo e questa la si ritrova più sovente nel ricordo del passato che nelle proiezioni sull’avvenire. Le sue sono meditazioni e contemplazioni emotive più che visioni del reale. La meditazione necessità di armonie, non di fragori, di semplicità non di complessità, di quiete più che di movimento, di serenità più che di stress. L’arte per alcuni, e questo non è mero dettaglio tecnico è contenitore, canestro di emozioni,  non solo in capo al fruitore dell’opera ma soprattutto sentite e vissute dallo stesso artista che misurandosi con l’opera si misura con se stesso, svelandoci il proprio intimo mistero, la propria ragione alchemica.

             Nulla nell’arte si avvera di concreto e di efficace senza perseveranza, tenacia, senza sudore e tanto lavoro, ma anche occorre pazienza ed intelligenza, tutte doti che riconosco in Pietro Cabras. Ed ecco che nella lettura di ogni dipinto o scultura, appare il valore umano dell’artista e l’opera diviene dono, ove l’energia del gesto tecnico trova il suo significato più compiuto nell’intento di parlare al cuore e sovente ancor più all’animo, ovvero a quella parte impalpabile dell’essere che si dissocia di tanto in tanto dalla carne per emergere solennemente rivolta  all’oltre, a quei concetti di autentica sacralità che bene il nostro artista riesce a trasmettere. L’opera sia dipinto che scultura non cerca la realtà pedissequa della rappresentazione, o l’inganno ottico a tutti i costi, piuttosto vive nella semplicità e si appaga nella grazia ed in questo vi è una meritevole onestà intellettuale. L’artista sente di dover più che dipingere il bello delle forme, la poesia che queste possono esprimere. Il pennello accarezza il paesaggio quasi a voler assaporarne l’essenza, la naturale armonia ma non si limita a ciò, bensì ne coglie il distillato, svelandone l’energia interna.

Pietro Cabras coglie con la sua passionalità per la vita e per le cose e per la sua terra e le sue genti, elementi di gentilezza, armonia, dolcezza, che le sue opere bene sanno rendere. Le viuzze od i campi ci parlano dei loro trascorsi, delle fatiche della gente che di questi luoghi d’incanto ma spesso selvaggi ed impervi ha da sempre accettato con dignità e saggezza, pregi e difetti, tanto che la terra stessa ha forgiato i caratteri, ha reso gli umori della gente, ne ha formato la fierezza. I tocchi spesso leggeri si fanno strada sulla tela stemperati nella luce di dolci velature iridescenti, altre volte vibrano e veloci seguono l’impulso di un momento, l’emozione dell’istante che non deve andare perduto. Ma quando l’artista entra in contatto coi volti e con le figure di quella ricca umanità, allora la verità diviene anche voglia di riscatto, affermazione di valori di una cultura millenaria. L’uomo o le donne che Cabras dipinge o scolpisce sono esseri sempre fieri, umili ma vincenti che colgono la luce come essenza di vita che nell’umiltà dei gesti trovano appagamento. Mi pare di cogliere in certi pronunciamenti, in certe figure calate nei lavori della tradizione, le  visioni dei pescatori alla Migneco, ma non sento la stessa durezza emotiva ed emozionale. Il mondo che Cabras descrive è appassionato ma non sofferto, né sofferente, bensì questa gente sorride alla vita ed è questo credo il sentire profondo dell’artista. Le sue opere sono rivelatrici di frammenti autobiografici, in esse si parla del territorio,  delle persone, di valori umani e di cultura ma non solo, l’artista esprime un profondo senso di sacralità.

             Cabras vive nell’amore per l’arte fin da ragazzo quasi come necessario corollario della propria esistenza, poiché per questo artista arte non è semplice esercizio tecnico ma espressione intensa, esperienza completa a 360°, crogiolo di sacralità, perturbazione romantica che traduce il dato visivo in estasi d’accoglimento, l’amore per la sua terra, il senso compiuto di appartenenza, la naturale vocazione ma anche l’umiltà mai venuta meno ne hanno fatto un artista autentico.  Tanto più la sua pittura appare poco elaborata, essenziale, non viziata dagli eccessi, tanto più se ne comprende l’essenza bastevole perché la verità è spesso da distillare dall’orpello che confonde ed è questo il compito dell’artista che comunica con un linguaggio semplice per rendere meglio la  vicinanza col suo ambiente, genuino, arguto,  ricco di valori di chi ancora crede nel senso di appartenenza.

Ma la semplicità quando presente in alcun opere non significa banalità, bensì la volontà di esprimere altro, come altro sanno e possono esprimere le dame di Virgilio Guidi o le donne senza occhi e dal collo lungo di Modigliani, o i segni di Mirò o le donne volanti di Chagall, o le Tigri di Ligabue, ove i sentimenti contano più delle pronunce lessicali, infatti servono a raggiungere valori esistenziali.

             Ma se il Cabras pittore convince per quanto sa trasmettere ed emozionare,  nei suoi bronzi affascina e nelle sue sculture si esalta anche per la capacità tecnica. Qui l’uso dei materiali è accurato quasi a volere rincorrere l’alchimia. Qui l’artista dimostra tutta la sua esperienza, le sue fusioni in bronzo, denotano la mano di un vero maestro. Ed ecco che si chiude il cerchio di una veduta si potrebbe dire a tutto tondo su di un artista che non definirei locale ma localmente coinvolto, ma che parlando del suo mondo parla all’umanità, con la voce del saggio si esprime ben oltre il proprio territorio, egli si rivolge a tutti noi trasmettendoci la propria umanità. Le sensazioni visive non sorgono dal dettaglio pure spesso preciso e netto, ma dall’insieme dell’opera che sorprende perché possiede la forza di rendere immediato il sentimento dell’autore.

             Ora occorre analizzare l’approccio col Sacro, il punto di arrivo di molte sue opere: le tele si empiono di cromie impressioniste e di incursioni espressioniste che spesso prevalgono pur non discostandosi mai dalla forma, dalla descrizione essenzializzata ma mai banalizzata dei luoghi e delle persone, che poi nelle sculture trovano vita  nella forza dei volumi espressi ed ariosi sempre rivolti dal basso verso l’alto a sottolineare il bisogno dell’uomo di elevazione. La tecnica serve allo scopo della bellezza ma soprattutto della purezza ed è in questa ricerca di purezza ove Cabras si incontra con la dimensione del sacro. Egli legge attraverso i suoi occhi l’animo del mondo che lo circonda, tutto ha significato, tutto ha valore, tutto è per l’artista fonte di innamoramento visivo ed emotivo, al fine tutto appare dato di forte spiritualità tangente imprescindibile per Cabras di elevazione, fatto catartico inusitato ove nello spoglio delle vanità appare la sostanza autentica delle cose, l’irraggiamento dell’esistere. Cabras ricerca e trova nelle sue opere l’uomo e con le sue opere ci rende  la verità dell’uomo, che per Cabras  può essere solo una verità d’amore.

 

Omaggio a Pietro Cabras.

 

Ravarino Mo 31/01/2009

Franco Bulfarini

                                                                                                                                       (critico, artista)